On Medicine

Anno XIV, Numero 1 - marzo 2020

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INTERVISTA

Intervista a Paola Piana

Redazione On Medicine

Il diffondersi dell’infezione da nuovo Coronavirus (Covid – 19) è rapidamente salita alla ribalta della cronaca quotidiana, diventando inesorabilmente protagonista della nostra vita, pubblica e privata. Non potendo esimerci, in quanto rivista scientifica, dall’affrontare l’argomento, abbiamo pensato di intervistare un Medico di Medicina Generale che opera in una delle zone “calde” del nostro paese: la dottoressa Paola Piana di Mortara (PV).


Come è cambiata la sua vita professionale a seguito del diffondersi dell’infezione da Coronavirus?


Prima di tutto bisogna sottolineare che le notizie che abbiamo noi medici di famiglia sono le stesse che hanno tutti. Anche noi viviamo la situazione giorno per giorno, in attesa di vedere cosa succederà nelle prossime settimane. Negli ultimi giorni di febbraio, quando già era iniziato il panico, ci è stata inviata una statistica relativa ai casi registrati, ai tamponi effettuati ecc., che però ha perso quasi subito di attualità essendo i dati in aggiornamento costante. Poi non è arrivato più nulla, probabilmente perché gli uffici addetti a questi rilevamenti hanno modificato la modalità di lavoro o, per quanto riguarda la mia zona di pertinenza, sono stati addirittura chiusi per un certo periodo. Il lavoro in ambulatorio è sicuramente diminuito, tanto da farmi sentire quasi inutile in un momento di emergenza come questo; i pazienti frequentatori abituali perché in terapia per malattie croniche preferiscono stare a casa; ho riscontrato invece un aumento delle richieste di certificati medici per assenze di malattia, perché le aziende chiedono ai dipendenti di stare a casa se presentano anche solo un accenno di sintomi che potrebbero far pensare a una possibile infezione respiratoria.


Ha ricevuto telefonate da parte di suoi pazienti che temevano di avere contratto il virus?


Tutti i pazienti che presentavano i primi sintomi influenzali mi hanno chiamato spaventati; ho cercato di tranquillizzarli, esortandoli a tenere sotto controllo l’evoluzione del quadro clinico utilizzando al bisogno i classici farmaci sintomatici, come il paracetamolo. Quando necessario, li ho visitati in ambulatorio, distanziando gli appuntamenti a titolo precauzionale.


Ha dovuto consigliare a qualcuno di chiamare i numeri predisposti per l’emergenza?


Solo in un caso, una signora che da una settimana era in terapia con antibiotici ed era preoccupata perché presentava ancora qualche linea di febbre; le ho consigliato di chiamare il numero verde ed esporre le sue perplessità. Gli operatori le hanno consigliato di rimanere a casa, a meno che si verificasse un peggioramento dei sintomi. La signora è stata però colta dal panico e si è rivolta lo stesso al Pronto soccorso, da cui è stata rimandata a casa con l’indicazione di proseguire con la terapia antibiotica prescritta. Il tampone fatto in quell’occasione ha poi dato esito negativo.


Da giovane medico quale è, adotta precauzioni particolari durante le visite in ambulatorio?


Il mio timore è quello di contribuire a creare il panico; utilizzo quindi camici protettivi e mascherina solo nell’approccio ai pazienti che si presentano con sintomi che possono far sospettare uno stato influenzale. In tutti gli altri casi preferisco accogliere i miei pazienti come al solito, per evitare di stressarli più di quello che già sono.