On Medicine

Anno XVI, Numero 2 - giugno 2022

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FOCUS

Hospice e cure palliative pediatriche, una sfida per la vita

D. De Vecchis

Abbandonati, come schiacciati da un macigno e impauriti al pensiero della prossima emergenza. Così si sentono i genitori di bambini e bambine che, a causa di malattie gravi, inguaribili e complicate da gestire - come sono molte patologie rare - tornano a casa dopo mesi di rianimazione o ricoveri comunque lunghi. Eppure, il rientro non sarebbe così drammatico se questi genitori venissero gradualmente “formati”, magari in un ambiente che sa di casa, e se potessero contare su un unico Centro di riferimento, su un unico numero da chiamare in caso di necessità.

Tutto questo è già realtà negli Hospice pediatrici, ancora poco diffusi sul territorio nazionale, e grazie alle Cure Palliative Pediatriche (CPP), poco conosciute e vittime di pregiudizi. Ed è proprio per questo, per incentivarne la conoscenza e l’integrazione con altri network assistenziali, che Hospice e CCP sono stati al centro del 36° webinar scientifico co-organizzato dal Centro Nazionale Malattie Rare e UNIAMO: “Integrazione di reti assistenziali: la rete per le cure palliative pediatriche”.

“L’Hospice è un ponte tra il momento delle dimissioni e l’effettivo rientro a casa per tutti quei bambini (e ragazzi fino a 18 anni) con malattie inguaribili e ad elevata complessità assistenziale (un concetto quest’ultimo che comprende un ampio ventaglio di condizioni: dalla carrozzina, al respiratore, al letto) ma curabili – spiega Michele Salata, responsabile del Centro di Cure Palliative Pediatriche dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, prima struttura del genere nella Regione Lazio, inaugurata di recente a Passoscuro -. È un percorso di apprendimento per i genitori (“abilitazione genitoriale” la chiamiamo noi) che dall’ospedale prosegue nelle miniresidenze, ovvero in stanze arredate (anche con un angolo cottura e un bagno) in modo tale da farle somigliare a quelle di casa. Sapendo di poter contare sempre su un’équipe multidisciplinare che, insieme ai genitori stessi, definisce il percorso di cura da proseguire una volta a casa; un percorso non da protocollo, ma cucito su misura di questa o quella famiglia. Rimaniamo, in altre parole, accanto a loro nella quotidianità”.

I genitori in questo modo si sentono più sicuri e positivamente deresponsabilizzati. Grazie ad una presa in carico veramente globale, non solo perché guarda a tutti gli aspetti della patologia, ma anche perché si occupa di tutti i membri della famiglia. “Fondamentale è il lavoro in rete, di cui l’Hospice è uno dei nodi – afferma Franca Benini, responsabile del Centro regionale Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche di Padova, il primo in Italia sorto nel 2007 –. I vari professionisti della salute, ciascuno per la sua parte (i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, gli operatori dell’assistenza domiciliare, dei distretti e delle strutture territoriali) attivano un percorso a partire dall’identificazione dei bisogni fino al dispiegamento dei vari esperti necessari: dal neuropsichiatra, al cardiologo o ad altro specialista di area, dallo psicologo all’esperto di inserimento scolastico. Insieme, seguiamo il bambino ovunque. Ogni decisione è frutto di riunioni multidisciplinari in stretta collaborazione, in simbiosi direi, con la famiglia, e senza forzature per il bambino/a o per il ragazzo/a. I genitori hanno un unico numero da chiamare, a tutto il resto pensiamo noi: dalle richieste burocratiche agli ausili. E quando il genitore chiama per un’urgenza, si attiva una rete parallela al 118 che assicura a questi piccoli pazienti un percorso speciale, evitando il pronto soccorso e, spesso, il ricovero”.

“L’Hospice pediatrico ha fatto la differenza nella nostra vita –hanno raccontato nel corso del webinar Federica e Matteo, genitori di Lavinia, colpita da una malattia genetica rara -. Nella struttura di Padova abbiamo avuto assistenza 24 ore su 24, sette giorni su sette, sia in presenza sia telefonica. Gli esperti dell’Hospice si sono coordinati con la pediatra, sono venuti a casa a fare visite ed esami, solo quelli indispensabili, ci hanno “formato” per usare gli ausili e ci hanno costantemente informato su tutto. Insomma, nei cinque anni di vita qui trascorsi abbiamo avuto un supporto inestimabile: a Lavinia hanno dato quella stabilità che le ha permesso di vivere tante esperienze e a noi hanno fornito soluzioni, oltre che stabilità mentale, per vivere quel tempo nel migliore dei modi. L’Hospice e le cure palliative, in altre parole, ci hanno resi padroni del tempo che restava. E anche quando è arrivato il momento, non ci siamo sentiti soli: l’equipe ci ha preso per mano e ci ha dato la possibilità di stare insieme senza perdere neanche un attimo dell’ultima settimana”.

Inguaribili ma curabili, dunque. E, come emerge dalla storia di Lavinia, è proprio la “cura” che fa una differenza sostanziale. “Ciò vuol dire che, pur se non abbiamo la terapia risolutiva – prosegue il dott. Salata che nel Centro di Passoscuro ha accolto da poco cinque bambini ucraini con queste caratteristiche – c’è molto da fare affinché si realizzi una pienezza di vita per tutto il tempo che rimane”. E qui bisogna fare chiarezza, perché “l’Hospice pediatrico paga lo scotto del concetto di ‘terminalità’ associato all’Hospice per adulti. È vero che questi bambini non hanno un’aspettativa di vita pari a quella dei loro coetanei sani, ma si parla comunque di anni che possono essere segnati dallo sconforto, dalla sfiducia, dalla sofferenza oppure dal godimento della migliore qualità di vita possibile. Questa è la nostra sfida: dare vita ai giorni e non giorni alla vita”.

“Il pregiudizio sull’Hospice pediatrico discende da un problema culturale che si combatte informando l’opinione pubblica e formando gli operatori sanitari – continua la dott.ssa Benini – ancora troppi pensano che sono luoghi dove si va a morire e le cure palliative sono percepite come qualcosa di “inutile”. E invece, tutt’altro: sono strutture dove, grazie proprio alle cure palliative che, va ricordato, rientrano nei LEA, e a una presa in carico globale, si lavora perché, una volta rientrati a casa il prima possibile, si viva meglio”.

Ed è anche un problema numerico. “Il rapporto tra minori e adulti eleggibili per l’Hospice è di 1:20; motivo per cui questi bambini sono, per così dire, trasparenti. Basta riflettere sul fatto che su 35 mila bimbi circa che in Italia necessiterebbero di cure palliative, sono appena il 10% quelli che le ricevono. Per tutti questi motivi probabilmente la Legge 38/2010 sulle CCP, un’ottima Legge, per la quale il nostro Centro ha fatto da modello, è ancora disattesa”. Una Legge che è “richiamata” nel Testo Unico delle malattie rare, che nell’articolo 4 annovera le cure palliative tra le prestazioni a carico del SSN insieme alle terapie riabilitative. Sottolineando con forza, dunque, che si tratta di un diritto che deve essere fruibile da ogni bambino che ne ha bisogno.

Anche la fotografia scattata nel 2022 da AGENAS e Ministero della Salute sullo stato dell’arte delle CPP nel nostro Paese parla chiaro: 13 reti regionali di CPP per un totale di 307 Hospice, di cui solo 9 pediatrici (Basilicata, Campania, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto). A cui va aggiunta la nuova struttura del Lazio, mentre una in Emilia Romagna è prossima all’apertura e altre, in Puglia, nelle Marche, in Friuli Venezia Giulia e in Alto Adige, sono in via di definizione.

Una sfida che guarda lontano. “Perché non si tratta solo di dare qualità al presente, ma anche di “curare” il futuro – conclude il dott. Salata –. Se saremo, infatti, in grado di supportare in tal modo le famiglie, allora anche i fratelli e le sorelle del piccolo malato saranno in grado di apprezzare ciò che hanno ricevuto e costruire, a loro volta, una società migliore. Se saremo in grado di prenderci cura di tutta la famiglia, consentendole, ad esempio, di partecipare a una gita, di andare in vacanza, di essere parte del quartiere, della comunità, del mondo, allora avremmo fatto passi avanti verso l’inclusione. Una sfida che va perseguita con forza”.

Daniela De Vecchis
Ufficio stampa ISS per RaraMente