On Medicine

Anno XI, Numero 1 - gennaio 2017

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INTERVISTA

La Sindrome di Klinefelter

Garofalo P

La Sindrome di Klinefelter (SK) è una malattia genetica la cui caratteristica principale è la presenza di un cromosoma X accessorio rispetto al normale patrimonio genetico maschile, costituito da 46 cromosomi; il maschio affetto dalla sindrome viene quindi identificato per la presenza di 47 cromosomi, due cromosomi X e un cromosoma Y. Questa è la forma più frequente; esistono anche delle condizioni di mosaicismo, in cui coesiste un patrimonio normale 46,XY con un patrimonio 47,XXY, oltre a forme minori di aneuploidia del cromosoma X. Nella popolazione generale, le casistiche più ampie riportano una prevalenza attesa per nati maschi di 1/500-1/600. Pur essendo una condizione genetica così frequente; di fatto la sua acquisizione diagnostica è estremamente sottostimata: si pensi che, sulla base di questi dati, in Italia dovremmo avere un numero di Klinefelter pari a 50-60.000. La diagnosi viene invece raggiunta in non più del 40-45% dei pazienti. Abbiamo intervistato sul tema il professor Piernicola Garofalo, dell’U.O.C. di Endocrinologia dell’A.O. Ospedali Riuniti V. Cervello di Palermo, che ci ha aiutato a fare chiarezza su questa condizione genetica così frequente ma estremamente sottodiagnosticata.



Professor Garofalo, quali sono le caratteristiche cliniche peculiari della Sindrome di Klinefelter?


Circa il 25% dei pazienti con SK viene riconosciuto perché nella fascia neonatale fino all’età adolescenziale emergono i primi piccoli segni della sindrome, particolarmente mutevoli nelle forme mosaico, che sono quasi irriconoscibili sul piano del fenotipo. Alla nascita vi può essere qualche piccolo segno indicatore che un Neonatologo esperto ha la capacità di riconoscere facilmente: testicoli ritenuti (5-8% dei casi), micropene, piccole ambiguità dei genitali esterni.
Il criptorchidismo è un segno da guardare sempre con sospetto alla nascita; molto spesso viene preso in considerazione, da parte dei Neonatologi e dei Chirurghi della prima infanzia, semplicemente come un danno estetico da correggere chirurgicamente, senza pensare che tale segno può rientrare in un corredo sintomatologico appannaggio di una condizione sindromica che si manifesterà nel corso degli anni. Il neonato affetto da criptorchidismo va quindi sempre sottoposto al parere di un esperto, che deciderà se avviarlo a un iter diagnostico più approfondito.


Qual è l’iter che si può seguire per poter diagnosticare questa condizione?


In tutti i Centri che praticano la diagnosi prenatale, o che dispongano di una patologia prenatale, è presente un esperto di patologie genetiche in grado di fare un counselling pre- e postnatale; i Centri minori dovranno quindi fare riferimento a strutture che possano mettere a disposizione questi specialisti. Anche un Pediatra di famiglia che prende in cura un bambino con criptorchidismo deve pensare a cosa ci può stare dietro.


Come si evolve la patologia nel tempo?


Nella prima infanzia e nell’età scolare possono cominciare a comparire piccole disabilità nascoste: apprendimento scolare non ottimale, piccoli difetti della memoria uditiva e a breve termine, irrequietezza; tutti piccoli segni che possono rappresentare i primi campanelli d’allarme. Gli individui affetti da SK possono presentare, inoltre, delle anomalie tipiche del linguaggio e piccole disabilità, fino a quadri di franca dislessia. Una buona équipe psico-pedagogica può quindi cominciare a individuare questi piccoli disturbi cognitivo-comportamentali, che si associano spesso a un’aumentata irascibilità fino a quadri di franca aggressività sia all’interno del gruppo scolare che nei contesti familiari. In età adolescenziale compare un altro pattern specifico per il riconoscimento della malattia: questi ragazzi cominciano a crescere più degli altri e presentano una sproporzione arti superiori/arti inferiori, con un’apertura delle braccia molto ampia, che supera l’altezza totale. Il fenotipo diventa particolarmente riconoscibile, anche da parte di un medico non esperto, soprattutto se i genitori non sono alti.
Un’altra caratteristica è quella della presenza di testicoli piccoli, che a 14-15 anni rimangono di 4-5 ml, come quelli di un bambino di 5 anni, e devono quindi far sospettare una condizione di ipogonadismo che, associata al fenotipo scheletrico e morfologico, deve portare alla diagnosi di sospetto per SK. La pubertà, tuttavia, procede spontaneamente in maniera regolare, con androgenizzazione e comparsa dei caratteri sessuali secondari; anche il pene presenta uno sviluppo adeguato.
Può esserci ginecomastia che, va ricordato, è presente fisiologicamente in forma transitoria in 1 individuo su 3 in età puberale, in ragazzi, quindi, esenti da qualsiasi patologia. La diagnosi di SK viene posta nel 10-15% dei casi in età adulta. Il segno principale è l’azoospermia; il punto di partenza è spesso l’infertilità di coppia, che porta all’esame del liquido seminale.
Non è tuttavia l’unica condizione che porta alla diagnosi; possono infatti anche essere presenti livelli di testosterone ridotti, astenia, sindrome metabolica (poiché l’ipogonadismo alla lunga porta a un’alterazione del pattern lipidico) e osteopenia, che è secondaria anch’essa all’ipogonadismo.
Nell’adulto con sospetto di SK devono essere valutati palpatoriamente i testicoli, indagata la capacità di socializzazione, il profilo di soddisfacimento sessuale, il profilo psico-comportamentale, sì da comporre il mosaico completo della sindrome.
Da non sottovalutare, inoltre, la maggior probabilità di questi soggetti di andare incontro a malattie autoimmuni e a condizioni neoplastiche: le aneuploidie, ovvero la presenza di cromosomi accessori, infatti, favoriscono lo sviluppo di alcune neoplasie specifiche dell’epitelio germinale, specie in sedi ectopiche (polmonare, addominale), ma anche di neoplasie del sistema linfopoietico e di tumori mammari.
Un altro aspetto tipico presente nell’adulto è quello relativo alle performances sessuali; questi soggetti sono inoltre caratterizzati da insicurezze associate a un profilo d’ansia che ne limita le prestazioni anche in ambito professionale e sociale. Anche questo aspetto psicosociale può essere una finestra di accesso che permette una diagnosi tardiva di SK, e andrebbe sempre ricordata agli Psichiatri e a coloro che si occupano di disturbi di personalità la possibilità che dietro a una di queste situazioni ci sia una SK mai diagnosticata. Arrivare a una diagnosi nell’adulto può essere risolutivo per quanto riguarda gli aspetti psicologici: può consentire una riorganizzazione della propria progettualità, e, per esempio nel caso dell’infertilità, a intraprendere percorsi diversi (adozione, donazione di gameti maschili all’esterno della coppia) di genitorialità.


Cosa c’è di nuovo nei trattamenti di questa Sindrome?


Le terapie dei vari ambiti sono mirate alle diverse tipologie di disturbo. Da sempre il presidio farmacologico principe della SK è rappresentato dalla terapia con testosterone, anche se prescritto con obiettivi diversi a seconda delle fasi della vita.
In epoca puberale può servire a ridurre la ginecomastia e l’alta statura, oltre a migliorare la comparsa dei caratteri sessuali secondari.
Il testosterone, infatti, è talvolta carente già in questa prima fase, e deve essere rimpiazzato in modo adeguato anche ai fini della preservazione della fertilità residua.
Nell’adulto l’ipotestosteronemia è responsabile di gran parte delle sequele associate alla sindrome, anche se bisogna ricordare che solo due terzi dei pazienti con SK presentano una carenza marcata di questo ormone. La terapia sostitutiva è inoltre utile per le condizioni morbose ad essa correlate a livello di osso, muscolo, massa magra, peso corporeo, pattern lipidico.
I testicoli dei pazienti con SK presentano diversi gradi di alterazione a carico delle varie componenti; in particolare il tessuto germinale gradualmente perde la capacità maturativa spermatozoaria.
Il danno si verifica rapidamente, nel giro di 2-3 anni a cavallo del periodo puberale; per questo motivo si è molto puntato sulla possibilità di recuperare spermatozoi o anche spermatogoni, cioè spermatozoi non maturi, in questa fascia di età allo scopo di ottenere il materiale genetico necessario per consentire una fertilizzazione ovocitaria in vitro ed il conseguente ottenimento di embrioni da impiantare.
Le tecniche in atto sono soprattutto due; la prima consiste nel recupero degli spermatozoi dal liquido seminale, se ciò non è possibile si ricorre alla biopsia testicolare con tecnica TESE o micro-TESE, cioè un intervento microchirurgico con il quale si preleva del tessuto testicolare per estrarne spermatozoi maturi o forme immature che possono essere arricchite in vitro e portate a maturazione per un’eventuale iniezione intracitoplasmatica nell’ovocita.
Non bisogna mai dire ai pazienti, o ai loro genitori, che non potranno avere figli: non va dimenticato che questo è uno degli aspetti più drammatici della sindrome.


Che ruolo ha la rete assistenziale nella gestione clinica dei pazienti con SK?


Per gli aspetti proteiformi della sindrome, e per la presentazione cadenzata nel tempo delle varie complicanze, è importante che gli osservatori della rete assistenziale siano tutti allertati: il neonatologo, prima ancora il genetista per il counselling in utero, poi il Pediatra di famiglia, che deve sapere che questo bambino è come gli altri ma può presentare alcuni piccoli “minus” fisici o comportamentali.
Il regista rimane il Medico di famiglia, che è fortemente coinvolto. La SK non è una condizione sindromica da affidare ai Centri per le malattie rare; sarebbe un grave errore strategico, soprattutto perché, in realtà, la Sindrome di Klinefelter non è una malattia rara.
Il Pediatra ha una grande responsabilità perché ha l’opportunità di fare la diagnosi, in quanto osserva l’individuo dalla nascita ai 14 anni e detiene, pertanto, tutta la longitudinalità dell’evenienza clinica che lo specialista magari non ha, dal momento che spesso viene consultato per un problema singolo.
Lo specialista diventa gestore solo delle situazioni più esasperate, soprattutto relativamente alla patologia riproduttiva e alle tecniche di procreazione assistita, alla prevenzione e al trattamento della sindrome metabolica, che può comportare obesità, ipertensione, dislipidemia e ridotta tolleranza ai carboidrati.


Qual è il ruolo delle Associazioni di pazienti?


Per poter fare dell’informazione corretta, sana e non allarmistica il miglior veicolo sono i pazienti stessi. In termini di consapevolezza, un conto è che il medico vada a spiegare cosa sono le malattie, un conto è che un paziente racconti di sé, della propria storia e del percorso che ha seguito, delle risposte che ha trovato; quindi, non c’è nulla di meglio che la rete di informazione sia costituita dai pazienti e che sia una rete assolutamente laica, non influenzata dai professionisti del settore.
Il medico può, al massimo, fungere da facilitatore della comunicazione.
Questo è il mio punto di vista per quanto riguarda il rapporto che noi sanitari dobbiamo avere con le associazioni di pazienti: aiutarli a farli crescere, esserne il lievito per poi scomparire; non pensare di farne un’altra ribalta, perché apporteremmo un ulteriore danno a persone che sono già state segnate per altri aspetti dalla vita.
Le associazioni di pazienti vanno seguite, aiutate nel posizionamento sociale, nell’attività e nelle scelte motivazionali. I pazienti dovrebbero aderire non solo per avere un luogo di contenimento delle proprie ansie, ma per poter essere di aiuto agli altri. Un’associazione di pazienti se funziona bene ha una grande responsabilità, perché è in grado di arrivare dove il medico non può arrivare e ha anche la capacità di interagire sul piano della prescrivibilità dei farmaci.
A questo proposito, esistono delle formulazioni di testosterone transdermiche, o iniettive trimestrali, che assicurano livelli più fisiologici dell’ormone, evitando l’esposizione a grandi picchi. Queste formulazioni in Italia non sono ancora erogabili gratuitamente per la lentezza della burocrazia e perché troppo costose. È stato possibile ottenere l’erogabilità di queste terapie per la SK perché presenti nel registro malattie rare; l’ombrello dell’associazionismo in questo caso ha esercitato una funzione protettiva insostituibile, soprattutto in un tempo di grande razionalizzazione delle risorse quale è quello presente.



Intervista con Piernicola Garofalo
U.O.C. di Endocrinologia,
A.O. Ospedali Riuniti Villa Sofia e Vincenzo Cervello, Palermo