On Medicine

Anno XIV, Numero 4 - dicembre 2020

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IL PARERE DELLO SPECIALISTA

Emozioni e Riabilitazione

E. Covelli, S. Respizzi

Introduzione


Nel presente articolo intendiamo illustrare una ricerca, da poco conclusa, che presenta come obiettivo principale quello di indagare quanto le emozioni primarie possano influenzare un percorso di riabilitazione fisica e sportiva.
Faremo riferimento alla Teoria dell’Analisi Transazionale per osservare le ipotesi di ricerca iniziali, proponendo, così, un Modello di intervento di coaching emotivo.
Infatti, si suppone che, all’inizio di ogni percorso di riabilitazione fisica e sportiva, il paziente sia in uno stato mentale patologico di “impasse” che inabilita, in parte, le personali risorse cognitive, emotive e comportamentali (Berne, 1961).
Esporremo le varie fasi di tale modello, esplicitando i metodi e strumenti utilizzati, i risultati ottenuti, le riflessioni conclusive e le ipotesi di indagine future.

Riferimenti teorici


L’Analisi Transazionale è una teoria psicologica diffusasi dagli USA al resto del mondo a partire dal 1950. È stata formulata dal medico e psichiatra Eric Berne, nato in Canada nel 1910 e vissuto negli Stati Uniti fino al 1970, originario di una famiglia ebrea fuggita dall’Austria.
Allievo di Erik Eriksson, segue i neofreudiani per poi staccarsene con intuizioni originali. Come per ogni teoria psicologica occidentale, il fondamento teorico rimane la fenomenologia esistenzialista di Husserl e Heidegger, nata in Europa nei primi decenni del 1900. Proprio da questi principi teorici si spiega la centralità e il rispetto verso il paziente da parte del medico e/o operatore sanitario; l’idea, all’epoca rivoluzionaria, è che il paziente sia competente sul proprio bisogno mentre il medico sulle proprie competenze tecniche. Così, attraverso l’ascolto paritario e il rispetto reciproco, si instaura una relazione intersoggettiva nella quale "i due soggetti della relazione esistono nel momento in cui si percepiscono" (Heidegger, 1953).
Con tali presupposti teorici, la relazione di cura è "necessariamente" paritaria e reciproca, pur nella differenza di ruoli e competenze. L'operatore non è più, solo, espressione di conoscenze e tecniche ma uno dei due poli di una relazione reciprocamente sentita come curativa. L'ipotesi è, infatti, che una relazione intersoggettiva possa creare quella "scintilla di calore" o alleanza emotiva che stimola il paziente a uscire dall’isolamento e ad attivarsi efficacemente nel proprio processo di guarigione (Binswanger, 1970).
La nostra ipotesi suppone che, all’inizio e durante la maggior parte dei percorsi di riabilitazione fisica e sportiva, il paziente si possa trovare in uno stato mentale patologico di impasse o contaminazione, rappresentata dal diagramma sottostante (Fig. 1).


Figura 1. Il diagramma mostra come alcune parti della personalità “invadono” i confini di quella centrale che rappresenta l’Adulto, la parte più razionale e consapevole del Sé (Berne, 1961).


In questo caso, il soggetto pensa, sente e agisce non in modo Adulto, cioè del tutto razionale e consapevole (cerchio centrale) ma è influenzato o invaso, contemporaneamente, da:
  • pregiudizi, generalizzazioni e visioni del mondo ereditati dalle proprie figure Genitoriali (cerchio più alto);
  • fobie, desideri, illusioni di tipo Infantili, poco attinenti alla realtà (cerchio più basso).
Durante l’impasse, ad esempio, il paziente crea immagini catastrofiche sul decorso della propria malattia, oppure si aspetta soluzioni magiche e inspiegabili o, ancora, si sente perseguitato da familiari o medici. L’elemento che accomuna tutti questi casi è che la responsabilità sull’esito del proprio processo riabilitativo è spostata verso entità esterne.
Altre volte, invece, la malattia viene vissuta come punizione verso i propri errori; così, la responsabilità personale diventa un peso insostenibile e solitario.
Ricordiamo che il paziente in stato di impasse è cognitivamente confuso, spesso non riesce a comprendere appieno e a memorizzare le indicazioni di medici e operatori, anche se espresse con linguaggio chiaro e semplice. Inoltre, esiste anche una confusione emotiva, secondo cui i sentimenti e le sensazioni personali vengono difficilmente riconosciute; sembra che il dolore fisico "copra" ogni altra emozione, così che la rabbia, la tristezza o la paura siano taciute e confuse fra loro.
Nello stato di impasse cognitiva ed emotiva, ciò che appare evidente all’osservatore esterno è il comportamento, poco funzionale a risolvere i problemi contingenti; di solito, si tratta di comportamenti considerati "passivi", poiché in essi le risorse del paziente sono poco vitali. Ad esempio, il paziente tende a "isolarsi" in modo eccessivo, con silenzi testardi, distacco forzato, scarsa concentrazione; altre volte, il paziente appare molto "agitato", senza motivo apparente, con forme di ipercinetismo (per quanto possibile), propensione al rischio, logorrea, scarsa coordinazione motoria. Spesso, dopo episodi prolungati di questo tipo, si registra un peggioramento della patologia esistente o l’insorgenza di una nuova; si può dire che, in questi casi, la richiesta di aiuto continua, anche in modi e tempi indefiniti (Schiff, 1971).

Elementi emotivi che influenzano i comportamenti correlati all’impasse


Nella civiltà occidentale, l’emotività è stata spesso considerata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi prefissi o una debolezza caratteriale. Sia in ambito sociale sia familiare, solo alcune emozioni sono ritenute tollerabili. Ad esempio, soprattutto nel secolo scorso, erano considerate emozioni accettabili per il genere maschile la rabbia o collera, per il genere femminile la tristezza o malinconia. Così, intere generazioni furono educate ad accettare e riconoscere in sé soprattutto queste due emozioni, nascondendo le altre (Erskine – Zaleman, 1979).
Secondo le ultime ricerche in ambito neurologico (Allen, 2011), antropologico (Thomson, 1983) e psicologico (Cornell – Hine, 1999), le emozioni umane autentiche sono assai simili a quelle dei primati e si riducono a un elenco piuttosto breve: sorpresa, interesse, disgusto, paura, rabbia, tristezza, gioia, speranza. A parte, ci sono le sensazioni fisiche primarie: sete, fame, sonno, stanchezza, dolore fisico.
Ognuna di queste emozioni, quando viene realmente riconosciuta dal soggetto, è portatrice di un’importante carica di energia e di informazioni. La paura può essere trasformata in cautela, la rabbia in determinazione, la tristezza in consapevolezza. La gioia indica uno stato di quiete positiva, mentre il dolore, sia interiore sia fisico, avverte che bisogna cambiare qualcosa in noi stessi o nel nostro corpo. In un determinato lasso temporale, più emozioni autentiche possono convivere nella stessa persona ma solo una di esse è, di solito, prioritaria e determina il comportamento successivo (Cornell – Hine, 1999).
In generale, le emozioni autentiche producono un naturale movimento interiore e corporeo teso verso il benessere dell’individuo. Invece, nello stato di impasse, questa "naturalezza" appare bloccata o deviata in comportamenti inefficaci o, addirittura, dannosi. In questi casi, la relazione intersoggettiva che si instaura fra il paziente e la rete di operatori che gli gravitano intorno (medici, fisioterapisti, infermieri, psicologi) diventa essa stessa uno strumento di cura.

Ricerca e protagonisti


La nostra ricerca è nata dall’esigenza di rispondere alla necessità, riscontrata da recenti studi realizzati in USA, UK, Canada e Scandinavia, secondo i quali solo il 19% dei pazienti e atleti afferma di aver avuto l’opportunità di un supporto psicologico ed emotivo adeguato alle proprie esigenze riabilitative (Butler – Moseley, 2003).
Questa ricerca si propone di creare e utilizzare strumenti, sia qualitativi (colloqui, interviste) sia quantitativi (1 test e 3 questionari, di cui 2 a punteggio chiuso), utilizzati all’interno di un Modello di coaching emotivo per pazienti in fase di riabilitazione fisico-sportiva. Il percorso proposto ha il fine di supportare e potenziare gli aspetti emotivi della personalità del paziente, ritenuti importanti risorse per il conseguimento di uno stato di benessere fisico, personale e sociale.
Sono stati intervistati in modo individuale 55 pazienti, con follow up da 3 a 6 mesi, divisi in 2 gruppi, in base alla patologia invalidante:
  • lombalgia o problemi cronici alla schiena;
  • infortuni alle articolazioni, con o senza necessità di intervento chirurgico.
Il primo gruppo era costituito da pazienti in prevalenza poco sportivi e affetti da problemi alla schiena, di età variabile da 18 a 48 anni, che praticavano per lo più il tennis o frequentavano palestre.
Il secondo gruppo era costituito da pazienti, sportivi e non, che dovevano sottoporsi o avevano già subìto un intervento a una o a entrambe le ginocchia (soprattutto LCA), di età variabile da 18 a 43 anni. Gli sport praticati, a livello sia agonistico sia amatoriale, erano in prevalenza calcio e pallavolo, in alcuni casi basket, sci e danza classica o moderna.
Riguardo agli elementi più specifici dei gruppi analizzati, rimandiamo alle nostre precedenti pubblicazioni (Respizzi – Covelli, 2015, 2016).

Strumenti


Gli obiettivi dei Questionari proposti sono:
  • attivare o sviluppare un’Alleanza terapeutica fra l’operatore sanitario e il paziente, in modo che entrambi ne traggano utilità e beneficio, pur nella diversità di ruoli e competenze;
  • stimolare le risorse cognitive ed emotive del paziente per uscire, almeno in parte, dallo stato di impasse;
  • evidenziare eventuali incongruenze o discordanze comunicative fra gli operatori ed il paziente.
Durante il percorso di coaching emotivo è stato utilizzato anche un test già conosciuto, la “Tampa Scale for Kinesiophobia”, adatto a misurare il livello di paura del movimento e del dolore fisico da parte dei pazienti (Kori – Miller, 1990; Lundberg, 2004).
A seguire, sono stati somministrati i Questionari sia a punteggio aperto sia chiuso, che offrono indicazioni ipotetiche ma con la possibilità, per l'operatore sanitario, di aumentare le proprie informazioni sul paziente, in modo da definire un percorso riabilitativo con maggiori probabilità di successo. Riguardo agli aspetti tecnici e statistici dei questionari, rimandiamo alle nostre precedenti pubblicazioni (Respizzi – Covelli, 2015, 2016).
Il Questionario aperto sulla “Comunicazione” indica come una comunicazione chiara e trasparente fra i diversi interlocutori, possa contribuire a rendere il percorso di riabilitazione efficace e privo di equivoci. In questi casi, è utile stipulare dei patti formativi con tutti i soggetti interessati così da esplicitare le loro aspettative e condividerle, per un più veloce iter riabilitativo (Fig. 2).


Figura 2. Il diagramma illustra quanto il tipo di comunicazione possa influire sul percorso riabilitativo.


Il questionario “Emozioni e Riabilitazione” ha l’obiettivo di valutare e stimolare le risorse emotive del paziente, al fine di renderlo più consapevole e attivo durante il proprio percorso di riabilitazione. Esso si concentra, infatti, sugli aspetti “infantili” della personalità, come:
  • la capacità di riconoscere e ascoltare le proprie emozioni,
  • raggiungere un positivo contatto con il proprio corpo,
  • creare una efficace relazione con medici e operatori,
  • ottenere un buon locus of control su Sé e l’ambiente circostante.
Infatti, la ricerca ha dimostrato che punteggi molto bassi o molto alti su queste particolari dimensioni rappresentano dei Fattori di Rischio per alcuni comportamenti fobici come la tendenza all’evitamento, l’ipervigilanza o varie forme patologiche di somatizzazione (Fig. 3).


Figura 3. Risultati del questionario “Emozioni e Riabilitazione”.


Infine, è stato somministrato il questionario “Infortunio e Prevenzione” che ha l’obiettivo di registrare le variabili psico-sociali che sono in grado di influenzare gli episodi di infortunio ripetuto o di abbandono dello sport in pazienti sportivi infortunati, per la maggior parte agonisti. Questo questionario esplora aspetti “genitoriali”, “adulti” e “infantili”, secondo la teoria di riferimento. Esso rappresenta un utile strumento per sollecitare le risorse cognitive ed emotive dello sportivo, in fase di elaborazione dell’infortunio vissuto e di progettazione del proprio futuro personale e professionale. Qui i Fattori di Rischio più evidenti per un’eventuale “Re-injury” o per l’abbandono precoce dell’attività agonistica sono dei punteggi molto alti o molto bassi soprattutto su due dimensioni:
  • la presenza di forti pregiudizi familiari e sociali riguardo al progetto professionale/sportivo del soggetto;
  • la capacità dello sportivo di trovare momenti di piacevolezza e arricchimento personale sia durante l’attività agonistica sia nel tempo libero (Fig. 4).


Figura 4. Elaborazione delle risposte al questionario “Infortunio e Prevenzione”.


Infatti, la ricerca ha dimostrato che più la decisione riguardo al proprio futuro professionale è autentica, cioè adeguata ai profondi desideri dell’individuo, maggiori sono le probabilità sia di raggiungere gli obiettivi della riabilitazione sia di intraprendere la nuova fase di vita sportiva con maggiore entusiasmo rispetto al periodo precedente l’infortunio.
Nell’attuale modello di coaching emotivo sono previsti due/tre colloqui individuali fra l’operatore e il paziente, della durata di circa un’ora, per la presentazione, la somministrazione e la restituzione dei punteggi dei questionari. I colloqui, effettuati in “setting” protetto, sono occasioni per il paziente di rivelare difficoltà e aspettative molto spesso inconsapevoli o mantenute implicite, stimolando considerevolmente le proprie capacità emotive, cognitive e comportamentali. Il percorso riabilitativo può così essere modificato in modo da aumentare, ulteriormente, le probabilità di efficacia e di successo finale.

Conclusioni e prospettive future


I risultati della ricerca conclusa appaiono coerenti fra loro, convalidando le ipotesi iniziali. Gli strumenti quantitativi utilizzati hanno verificato dei Fattori di Rischio importanti per l’aggravamento di disagi emotivi o l'eventuale insorgenza di reali patologie, durante le varie fasi di riabilitazione fisica: catastrofismo, ipervigilanza, isolamento emotivo, forme di somatizzazione, infortuni ripetuti nel tempo, abbandono precoce dell’attività agonistica e sportiva.
Anche il modello di coaching emotivo proposto riassume alcuni dei contenuti espressi in questa sede: il concetto di impasse, l’importanza di una significativa alleanza emotiva fra paziente e operatore, l’utilizzo di tecniche comunicative efficaci, il riconoscimento e utilizzo delle emozioni autentiche (Fig. 5).


Figura 5. Modello di coaching emotivo.


La Figura 5 rappresenta due possibili percorsi di riabilitazione: uno con esito negativo, l'altro con la guarigione o il miglioramento del paziente che riacquista un grado di autonomia, motoria e mentale, uguale o migliore rispetto al momento dell’evento patologico. Sembra altamente probabile che alla riabilitazione fisica si unisca un processo interiore di consapevolezza emotiva, comunicativa e relazionale, altrettanto terapeutico.
Il periodo di cura e riabilitazione diventa, così, per molti pazienti, un lento processo di autoconsapevolezza durante il quale il corpo e alcune parti del Sé, dimenticate o inascoltate, riaffiorano e pretendono attenzione. Il linguaggio del corpo acquista significati fino ad allora sconosciuti, da ascoltare e interpretare con interesse e affetto; il corpo, cioè, assume caratteristiche più vicine al Sé, così da non essere più considerato e trattato come una macchina con cui sfidare o adeguarsi passivamente alle esigenze del tempo, degli impegni, delle mode e della società. Il corpo vive le proprie emozioni e la propria interiorità, rendendole delle potenziali risorse di energia curativa (Butler – Moseley, 2003).
Durante le interviste e i colloqui di restituzione dei punteggi sono state raccolte altre due variabili, espresse in modo spontaneo dai pazienti, che rappresentano dei dati imprevisti ma molto interessanti:
  1. la percezione del dolore, che è apparsa alterata da elementi psico-sociali, come la paura e la solitudine. Secondo alcuni pazienti, la sensazione del dolore può diventare, nel tempo, una forma di dipendenza psicologica che caratterizza la personalità del paziente, contribuendo al suo isolamento rispetto all’ambiente abituale (Fig. 6).
  2. l’interesse verso un supporto emotivo durante e dopo la fase di riabilitazione fisica, soprattutto con modalità di gruppo. Infatti, alcuni pazienti hanno auspicato la creazione di gruppi per pazienti affetti da patologie simili ma in fasi diverse della riabilitazione, guidati da un facilitatore specializzato e organizzati dalla struttura di riferimento (Fig. 6).


Figura 6. Esiti delle variabili raccolte durante i colloqui di restituzione dei punteggi.


Anche questi ultimi punti sembrano confermare totalmente l’ipotesi iniziale, già registrata in Nord America e Nord Europa, sull’esigenza di percorsi di supporto emotivo per pazienti in fase di riabilitazione fisica e sportiva (Butler – Moseley, 2003).
Auspichiamo che i dati raccolti possano essere di stimolo per nuovi e futuri approfondimenti.


A cura di
Elisabetta Covelli
Analista Transazionale
Meravigli Medical Centre, Milano.


Stefano Respizzi
Fisiatra e medico dello sport
Direttore Dip. Riabilitazione IRCCS Humanitas Research Hospital, Rozzano (MI)


Bibliografia


  • Allen J. (2011).“The experienced self as a developmental line and its script work”. TAJ, 41, 58-68.
  • Berne E. (1961). “Transactional Analysis in Psychoterapy”. New York: Grove Press.
  • Binswanger L. (1958). “Existence: a new dimension in psychiatry and psychology”. New York: Basic Books.
  • Butler D.S., Moseley L.S. (2003). “Explain pain”. Adelaide: Noigroup Publications.
  • Cornell B., Hine J. (1999). “Cognitive and social functions of emotions: a model for TA counsellor training”. TA Journal, 29, 175-185.
  • Erskine R., Zaleman M.J. (1979). “The Rackeet System: a Model for Rackeet Analysis”. TA Journal, 9, 51-59.
  • Heidegger M. (1953). “Being and Time”. New York: State University of New York Press.
  • Kori S.H, Miller R.P. (1990). “Kinesophobia: a new view of chronic pain behaviour”. Pain Management, 3: 35-43.
  • Lundberg M.K.E. (2004). “A psychometric evaluation of the Tampa Scale for Kinesiophobia from a phisiotherapeutic perspective”. Physiotherapy and Practice, 20, 121-133.
  • Respizzi S., Covelli E. (2015).“The Emotional Coaching Model: Quantitative and Qualitative Research into Relationships, Communication and Decisions in Physical and Sports Rehabilitation”. Joints Journal, 4, 191-200.
  • Respizzi S., Covelli E. (2016). “Un Modello di Coaching Emotivo: strumenti quantitativi e qualitativi per le riabilitazioni fisiche e sportive”. Il Medico Sportivo, 2, 2-4.
  • Schiff A. e J. (1971).“Passivity”. TAJ, 1, 71-78.
  • Thomson G. (1983). “Fear, Anger and Sadness”. TAJ, 13, 20-24.