On Medicine

Anno XII, Numero 2 - giugno 2018

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IL PARERE DELLO SPECIALISTA

Osteoporosi e frattura di femore: gestione del paziente

Galmarini V

La percezione della rilevanza delle fratture da fragilità (in particolar modo di quelle del collo femorale) è ancora limitata nella popolazione generale e presso la stessa classe medica, nonostante il considerevole impatto di questa problematica sui soggetti anziani e sulle famiglie in termini di salute e qualità della vita, nonché sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN) in termini di risorse economiche erogate.
È di fondamentale importanza sensibilizzare le figure interessate alla gestione del soggetto con frattura del collo del femore riguardo ai fattori di rischio e alle numerose e valide strategie farmacologiche oggi a disposizione: in questo sono coinvolti l’Ortopedico, che opera il paziente con frattura del collo del femore, il Fisiatra che interviene per una riabilitazione “personalizzata” e il Medico di Famiglia, che esercita un monitoraggio globale delle comorbidità.
Importante premessa è la considerazione che le uniche manifestazioni dell’osteoporosi sono le fratture e le loro conseguenze.
Oltre al collo del femore, le fratture da fragilità possono interessare tutti i segmenti scheletrici, ma principalmente il corpo vertebrale, il radio distale e il collo dell’omero. Mentre la diagnosi di frattura vertebrale è spesso difficile, tanto che solo in un terzo dei soggetti si formula una diagnosi clinica (i criteri per farlo prevedono presenza di dolore dorso-lombare anche senza trauma efficiente, ipercifosi del rachide dorsale, calo staturale di oltre 6 cm, distanza tra le ultime coste e la cresta iliaca inferiore a 2 cm e uso prolungato di steroidi) alla base delle fratture degli altri distretti ossei è sempre presente un trauma da caduta.
Tra i soggetti anziani le fratture osteoporotiche sono una delle maggiori cause di mortalità, con incidenza sostanzialmente sovrapponibile a quella correlata all’ictus e al carcinoma mammario e superiore di 4 volte a quella del carcinoma endometriale.
La diagnosi di osteoporosi si basa sull’indagine densitometrica, che misura in modo abbastanza accurato e preciso la massa ossea e la densità (Bone Mineral Density - BMD), responsabile della resistenza meccanica dell’osso per il 60-80%. Con l’evoluzione dei software della densitometria (Hip Structural Analysis - HSA e Trabecular Bone Score - TBS), in realtà poco diffusi per i costi, si riescono oggigiorno ad avere anche informazioni sulla qualità ossea del paziente, migliorando in tal modo il suo inquadramento clinico e il monitoraggio.
Nella patogenesi della frattura intervengono molti fattori di rischio, che possono direttamente ridurre la BMD o che ne risultano indipendenti. Da questo deriva che, mentre con la densitometria possiamo identificare una soglia diagnostica di osteoporosi, solo valutando i fattori di rischio indipendenti dalla BMD possiamo individuare una soglia terapeutica. I pazienti andranno pertanto trattati dal punto di vista farmacologico in base all’integrazione tra BMD e fattori di rischio di frattura, elencati in Tabella 1.


Tabella 1. Principali fattori di rischio di frattura.


Inquadramento dell’osteoporosi


L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea e da variazioni qualitative della micro e macroarchitettura dell’osso, da alterazioni della sua geometria e delle proprietà materiali e dalla presenza di microdanni, che si accompagnano a un aumento della fragilità ossea e, di conseguenza, del rischio di frattura (Figura 1).


Figura 1. Alterazioni a carico dell’osso provocate dall’osteoporosi.


L’incidenza di osteoporosi aumenta con l’età e arriva a interessare la maggior parte della popolazione oltre l’ottava decade di vita. Si stima che in Italia ci siano oggi circa 3,5 milioni di donne e 1 milione di uomini affetti da osteoporosi.
In Italia l’aspettativa di vita è salita progressivamente negli ultimi anni: nel 1930 era di 53,8 anni per gli uomini e di 56 per le donne; nel 2010 è salita rispettivamente a 79,4 e 84,5 anni e nel 2016 a 80,6 e 85,1 anni, con una media di 82,8 anni.
Al primo gennaio 2017 gli over 65 superavano i 13,5 milioni, rappresentando il 22,3% della popolazione italiana, e gli ultraottantenni erano ben l’8%. A questo corrisponde anche un calo delle nascite, che ha raggiunto il livello minimo (474.000 nuovi nati) nel 2016 (dati ISTAT 2016).
Poiché nei prossimi 20 anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età aumenterà del 25%, ci dovremo attendere un proporzionale incremento dell’incidenza dell’osteoporosi.
Il life time risk di frattura osteoporotica a carico del polso distale, dei corpi vertebrali o del femore prossimale è di circa il 15% per ogni sito specifico e del 40% per tutti i siti complessivamente.
Nella popolazione italiana con oltre 50 anni d’età il numero di fratture di femore in un anno supera le 90.000 unità e per quelle vertebrali nel 2010 sono stati registrati oltre 70.000 accessi al Pronto Soccorso ma, per la sottostima prima analizzata, si teme che il loro numero sia di oltre 10 volte superiore (Figura 2).


Figura 2. Frattura del corpo vertebrale lombare: nonostante sia causa di numerosissimi accessi al pronto soccorso, si ritiene che questo tipo di frattura sia un evento sottostimato.


Le fratture osteoporotiche hanno importanti implicazioni sociali ed economiche, oltre che sanitarie.
I pazienti con frattura del femore prossimale presentano mortalità del 5% in acuto e del 15-30% entro un anno dall’evento.
L’incremento della mortalità persiste per 5 anni per tutte le fratture e sino a 10 anni per la frattura di femore.
L’aver subito una frattura da fragilità è il principale fattore di rischio per l’insorgenza di altre fratture, anche indipendentemente dai valori della BMD. In ogni caso è stato dimostrato che, in entrambi i sessi, una riduzione del 10-12% della BMD, in qualsiasi sito essa venga misurata, raddoppia il rischio di frattura del femore, delle vertebre e del polso. In tutti gli studi condotti sul tema viene chiaramente evidenziato che un frattura del collo del femore aumenta di 6-8 volte la probabilità di un seconda frattura femorale rispetto al rischio di soggetti coetanei senza pregresse fratture (Figura 3).


Figura 3. Nuova frattura del collo femore dopo 6 mesi. Nell’immagine si osserva una osteosintesi a destra e una protesi cefalica a sinistra.


Un soggetto di sesso femminile con frattura vertebrale presenta un rischio del 19% di subire una nuova frattura vertebrale entro un anno, rischio che dopo due fratture aumenta ulteriormente di oltre 7 volte. In presenza di una frattura di femore si possono osservare fratture vertebrali nel 50% dei casi. Anche la semplice frattura del radio distale rappresenta un elemento sensibile di fragilità scheletrica, predisponendo a ulteriori fratture, in particolar modo del femore (Tabella 2).


Tabella 2. Rischio di rifrattura (da Black D, 1999).


A un anno dalla frattura del femore il 40% dei pazienti non è in grado di camminare autonomamente, il 60% è limitato in attività di classe 1 (mangiare, lavarsi e vestirsi) e l’80% in attività di classe 2 (fare la spesa, salire e scendere le scale ed esercitare il giardinaggio). Questa riduzione del livello di autosufficienza comporta l’istituzionalizzazione a lungo termine in circa il 20% dei casi.
L’impatto economico delle fratture da osteoporosi in Italia è rilevante: si stima che esso superi i 7 miliardi di euro/anno (60% per le fratture del femore prossimale), di cui solo 360.000 per la prevenzione farmacologica secondaria, a dimostrazione di quanto sia sottostimata questa patologia.

Classificazione dell’osteoporosi


L’osteoporosi può essere classificata in due forme principali, che a loro volta includono differenti varietà:
  • Le osteoporosi primitive includono la varietà giovanile, post-menopausale e maschile.
    La forma post-menopausale è caratterizzata da una rapida perdita d’osso a livello trabecolare, con perforazione delle trabecole ossee e parziale risparmio dell’osso corticale, ed è responsabile principalmente delle fratture vertebrali e del radio distale. Essa è caratterizzata da un elevato turn-over osseo, con aumento del riassorbimento endostale e inibizione della formazione ossea periostale.
    La forma maschile ha invece rilevanza in quanto il 20% delle fratture di femore si verifica nel sesso maschile e l’incidenza di fratture vertebrali è circa la metà rispetto a quella della donna. Nei due terzi dei casi è secondaria (mentre nelle donne lo è in un terzo dei soggetti).
  • Le osteoporosi secondarie sono legate a numerose patologie e al trattamento con determinati farmaci, tra cui predominano quelle provocate da glucocorticoidi.

Fattori di rischio


La patogenesi della frattura deve tenere conto dei molteplici fattori di rischio che influenzano resistenza ossea, frequenza e tipo di trauma.
  • Densità minerale ossea. Dipende dal picco di massa ossea raggiunto all’apice dello sviluppo e dalla perdita ossea correlata alla menopausa e all’invecchiamento ed è influenzata da fattori genetici e nutrizionali, abitudini di vita, malattie coesistenti e terapie farmacologiche.
    Il potere predittivo della densità minerale ossea per le fratture è simile a quello della pressione arteriosa per l’ictus e migliore di quello del colesterolo nella predizione dell’infarto miocardico.
  • Età. Il rischio di frattura correlato all’età è parzialmente mediato dalla riduzione della BMD, ma dipende da altri fattori, quali alterazioni qualitative della struttura ossea, aumento della frequenza di cadute e rallentamento delle risposte protettive.
    Un identico T-score ha un significato diverso alle differenti età e, a parità di BMD, il rischio di frattura è più elevato negli anziani rispetto ai giovani.
  • Pregresse fratture. Soggetti con 3 o più fratture hanno un rischio di nuove fratture circa 10 volte superiore a chi non ha avuto fratture e 2-3 volte superiore a chi ha è andato incontro a una sola frattura.
  • Familiarità.
  • Fumo.
  • Comorbidità. Le malattie più frequentemente associate ad aumentato rischio di frattura sono: Artrite reumatoide e altre connettiviti, diabete (i soggetti con questa patologia tendono a fratturarsi a livelli di BMD superiori rispetto a quelli dei soggetti non diabetici), BPCO, malattie infiammatorie croniche intestinali, AIDS, Parkinson, Sclerosi Multipla e grave disabilità motoria.
  • Terapie farmacologiche. Con maggior rilievo per glucocorticoidi (Tabella 3) e terapie di blocco ormonale adiuvante (inibitori dell’aromatasi nelle donne operate per carcinoma della mammella e agonisti del GnRH negli uomini con carcinoma prostatico).
  • Fattori di rischio per cadute. Sordità, disturbi del visus, patologie neuromuscolari, malattia di Parkinson, demenze, malnutrizione, abuso di alcool, ipovitaminosi D, oltre a fattori ambientali che potrebbero aumentare le cadute come barriere architettoniche, tappeti, scarsa illuminazione, ecc.


Tabella 3. Corticosteroidi e rischio di frattura vertebrale (da Adami S et al. 2000).


Valutazione complessiva del rischio di frattura


Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati algoritmi scaricabili dal web quali il FRAX e il DeFRA (quest’ultimo basato sui dati relativi al rischio di frattura della popolazione italiana stratificando in modo più accurato alcune delle variabili già presenti nel FRAX), che calcolano il rischio delle principali fratture da fragilità (vertebre, femore, omero e polso) nei 10 anni successivi. Essi integrano le informazioni derivanti dalla misurazione della BMD con quelle provenienti dalla presenza dei fattori di rischio clinici, aiutando in tal modo la decisione terapeutica.

Diagnosi densitometrica


La diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sul confronto fra il valore di BMD del soggetto esaminato, espresso in Deviazioni Standard (DS), e il valore medio di BMD di giovani adulti sani al picco di massa ossea (T-score). Il valore di BMD può anche essere espresso in raffronto al valore medio di soggetti di pari età e sesso (Z-score).
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi (T-score < -2,5 DS) è applicabile soltanto ai valori densitometrici ottenuti con tecnica DEXA (Dual-Energy X-ray Absorptiometry). I criteri non sono applicabili a donne prima della menopausa né a uomini prima dei 50 anni.

Diagnosi densitometrica


Gli esami di laboratorio sono fondamentali in quanto:
  • possono consentire la diagnosi differenziale con altre malattie metaboliche dello scheletro che possono determinare un quadro clinico o densitometrico simile a quello dell’osteoporosi;
  • possono aiutare a individuare possibili fattori causali, consentendo una diagnosi di osteoporosi secondaria;
  • possono orientare nelle scelte farmacologiche e nel giudicare l’aderenza alla terapia.

La normalità di 8 semplici esami bioumorali di I livello (VES, emocromo completo, protidemia frazionata, calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina totale, creatininemia, calciuria delle 24 ore) esclude nel 90% dei casi altre malattie o forme di osteoporosi secondarie.
Talvolta per sospetti clinici mirati bisogna procedere con indagini di laboratorio di II livello più specifiche (calcio ionizzato, TSH, paratormone sierico, 25-OH-vitamina D, cortisolemia, testosterone nei maschi, immunofissazione sierica e/o urinaria ac. anti-transglutaminasi, esami specifici per patologie associate). Stante l’alta incidenza di ipovitaminosi D e di iperparatiroidismo secondario, il dosaggio della vitamina D e del paratormone sono spesso inseriti in quelli di I livello.
Le analisi per escludere cause secondarie della malattia dovrebbero essere richieste qualora il valore di BMD sia inferiore a quello atteso per l’età (Z-score <2) o qualora non si ottengano adeguati risultati densitometrici nonostante la terapia sia stata seguita correttamente.

Gestione del paziente con frattura del collo del femore


L’Ortopedico è il primo specialista che interagisce con il paziente con frattura del femore; è il testimone oculare, intervenendo chirurgicamente, delle modificazioni di resistenza e qualità dell’osso causate dall’osteoporosi.
Presso l’UOC di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano (ASST Fatebenefratelli-Sacco) abbiamo attivato da tempo un protocollo per la gestione dei pazienti con frattura del collo femorale che prevede che il soggetto venga operato nelle prime 48 ore dopo il ricovero. Dalla seconda-terza giornata post-operatoria il malato viene posizionato in poltrona e inizia il trattamento riabilitativo e l’integrazione farmacologica con calcio e vitamina D.
Abbiamo notato che risulta problematico somministrare una terapia antiosteoporotica durante il periodo della degenza, in quanto spesso molti farmaci (bisfosfonati) devono essere assunti in posizione eretta e distanziati dalla colazione, fattori non sempre realizzabili quando il paziente è allettato, così come, mancando il dovuto tempo, risulta difficile inquadrare correttamente il soggetto e fare uno studio anamnestico dei fattori di rischio.
Abbiamo stilato un protocollo che prevede l’inquadramento del paziente dopo circa 60 giorni dall’intervento, in occasione del primo controllo clinico-radiografico eseguito nell’ambulatorio dedicato all’osteoporosi e alle malattie metaboliche dell’osso.
Infatti, all’atto della dimissione, oltre alla supplementazione con calcio e vitamina D (50.000 UI di colecalciferolo/15 giorni), da monitorare, viene prescritta una radiografia di controllo dell’anca ed esami ematochimici di I livello.
In occasione del controllo si procede quindi a un accurato studio anamnestico per evidenziare e correggere gli eventuali fattori di rischio concomitanti:
  • di tipo nutrizionale;
  • riguardanti lo stile di vita: scarso esercizio fisico (addirittura limitato a piccoli spostamenti nelle mura domestiche) e scarsa o assente esposizione al sole;
  • abuso di bevande alcooliche e/o di fumo;
  • frequenza delle cadute.

A questo punto si imposta la terapia medica più adeguata, soppesando le problematiche rischio-benefici, e spesso si richiede un esame morfometrico in latero-laterale del rachide dorso-lombare, al fine di evidenziare pregressi cedimenti misconosciuti, completando in tal modo l’inquadramento e soddisfacendo le condizioni di applicazione corretta della nota AIFA 79. Se il soggetto è particolarmente anziano spesso non si richiede l’esecuzione di un esame densitometrico al femore controlaterale, anche se teoricamente questo sarebbe utile per monitorare la risposta terapeutica.

Prevenzione delle cadute


Un attento e costante intervento riabilitativo permette di limitare la disabilità, di modificare il rischio di cadute e di realizzare un rapido reinserimento sociale. La riabilitazione dev’essere volta, oltre che al miglioramento dell’articolarità dell’anca, anche al potenziamento muscolare, al miglioramento dell’equilibrio e della deambulazione.
La persistenza del dolore e la limitazione articolare si associa a una sindrome depressiva, specialmente nell’anziano, che innesca un circolo vizioso: il paziente ha paura di cadere e di uscire e si chiude sempre più in se stesso, determinando una progressiva perdita della funzione che può arrivare all’immobilità.
Sono estremamente importanti le misure preventive, basate su semplici accorgimenti, come prima detto, volti a modificare il rischio di cadute.
Vari studi hanno dimostrato che la riduzione dei sedativi, così come la sospensione dal fumo, riducono del 40% il rischio di frattura da fragilità; il miglioramento della vista lo riduce del 33% e l’esercizio fisico del 30%.

Prevenzione farmacologica


Prove cliniche hanno dimostrato che il trattamento medico, non oggetto di questo articolo, può ridurre il rischio di future fratture sino al 50%. Il trattamento medico può anche aiutare a ridurre gli insuccessi della tenuta dei mezzi di sintesi nelle fratture pertrocanteriche, valutati in letteratura nell’ordine del 10%.
La ricerca farmacologica ha realizzato un’importante gamma di trattamenti approvati in prevenzione primaria e secondaria, dispensabili dal SSN con la nota AIFA 79.
Da quanto detto emerge anche una problematica medico-legale nel momento in cui un paziente, che abbia riportato una frattura del collo del femore e non sia stato adeguatamente trattato, vada incontro a una nuova frattura femorale.
In ogni caso bisogna garantire un introito giornaliero globale di almeno 800 UI di vitamina D e di 1.200-1.500 mg di calcio.

Conclusioni


Nella gestione del paziente anziano con frattura di femore il ruolo dell’Ortopedico deve tornare centrale, di guida, ma deve prevedere la collaborazione per il trattamento riabilitativo e per quello farmacologico, con il Fisiatra, il Medico di Famiglia e tutti gli altri Specialisti deputati alla gestione delle comorbidità (basti pensare alla problematiche farmacologiche del paziente con insufficienza renale).
È fondamentale impostare un’adeguata terapia medica con farmaci che abbiano dimostrato di ridurre in modo significativo il rischio di frattura.
Dovrà pertanto esser un antico ricordo l’affermazione di Wallace del 2001: “con un numero talmente alto di fattori di rischio a cui riferirsi quando si vede un paziente con frattura osteoporotica è facile non pensare alla causa, ma alla frattura”.


A cura di
Valter Galmarini
U.O.C. Ortopedia e Traumatologia - Ospedale Fatebenefratelli - ASST Fatebenefratelli Sacco
Responsabile ambulatorio II livello osteoporosi e malattie metaboliche dell’osso


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