On Medicine

Anno XI, Numero 3 - settembre 2017

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IL PARERE DELLO SPECIALISTA

Fibromi uterini: nuove opzioni nel trattamento medico

Soave I, Occhiali T, Marci R

Introduzione


I fibromi uterini sono neoplasie benigne clonali che originano da cellule della muscolatura liscia uterina (miometrio), sono sicuramente molto comuni ma, a causa di una clinica estremamente variabile, è difficile stimarne esattamente la prevalenza.1 Non esiste ancora una terapia medica capace d’indurre la regressione definitiva di queste lesioni, ma la recente introduzione di un nuovo farmaco ha dato buoni risultati in termini di arresto della crescita e riduzione di volume e vascolarizzazione dei fibromi stessi. L’unica terapia definitiva rimane attualmente quella chirurgica, costituendo una delle principali cause di spesa sanitaria in campo ginecologico. Nonostante la natura benigna, i fibromi uterini possono avere un impatto rilevante nella vita della donna, soprattutto inducendo sanguinamenti mestruali abbondanti e prolungati (menorragia e ipermenorrea): sono, infatti, la prima indicazione a isterectomia, giustificando circa i due terzi di questi interventi chirurgici. Proprio questa propensione al sanguinamento porta molte di queste donne a sviluppare quadri di anemia. Altri sintomi possono essere dolore e gonfiore pelvico a causa della compressione provocata da uteri aumentati di volume. La clinica dei fibromi rimane comunque variabile, dipendendo da numero, volume e localizzazione dei fibromi stessi.2-4 Inoltre i fibromi uterini possono compromettere la funzione riproduttiva femminile, causando infertilità, aborti e complicanze della gravidanza5 con conseguente peggioramento della qualità della vita della donna che ne è affetta.3

Trattamento medico con ulipristal acetato


La patogenesi di queste neoplasie benigne non è ancora ben compresa, ma sicuramente predisposizione genetica e ormoni steroidei, in particolare estrogeni e progesterone, svolgono un ruolo rilevante. Nei fibromi uterini vi è infatti una sovra-espressione di recettori per il progesterone e per gli estrogeni;6,7 alti livelli di questi ormoni stimolano la crescita e il mantenimento di questi tumori, che risultano anche responsivi a una terapia ormonale di soppressione.8 Farmaci che si stanno dimostrando efficaci nella terapia di queste neoplasie sono i Modulatori Selettivi del Recettore del Progesterone (Selective Progesterone Receptor Modulators - SPRM). Si tratta di molecole steroidee capaci di interagire con il recettore del progesterone come agonisti o antagonisti a seconda del tessuto bersaglio e dei livelli di progesterone locali. Possono agire come agonisti, quindi mimare l’attività del progesterone, o come antagonisti, andando a bloccare il recettore. Tra i tessuti bersaglio del progesterone vi sono l’ipotalamo, l’ipofisi, l’endometrio e, appunto, il tessuto fibromatoso, dove hanno azione antagonista.9,10

I SPRM inibiscono il picco di LH indotto dagli estrogeni, ma non modificano i livelli basali di LH e FSH. Ciò consente il mantenimento di livelli di estrogeno fisiologici nell’ambito delle concentrazioni osservate nella donna in fase follicolare. I SPRM interagiscono anche con i recettori del progesterone presenti nell’endometrio, inducendo amenorrea nella maggior parte delle donne. All’interno della categoria dei SPRM ricade l’Ulipristal Acetato (UPA), farmaco attualmente utilizzato nel trattamento medico dei fibromi uterini. L’UPA agisce selettivamente sul fibroma e sui sintomi a esso correlati mediante diversi meccanismi d’azione:
  • azione diretta sul fibroma, riducendone le dimensioni per inibizione della proliferazione cellulare e induzione di apoptosi delle cellule del fibroma;11
  • azione diretta sull’endometrio con rapido controllo del sanguinamento uterino, che solitamente cessa dopo il primo ciclo mestruale;12
  • azione sull’asse ipotalamo-ipofisi con inibizione dell’ovulazione e induzione di amenorrea, mantenendo nel contempo livelli di estradiolo da fase follicolare media.12

L’efficacia e la tollerabilità dell’UPA nelle donne affette da fibromi uterini sintomatici è stata valutata in quattro studi clinici di Fase III: PEARL I, II, III e IV (PGL4001’s Efficacy Assessment in Reduction of symptoms due to uterine Leiomyoma). Nei primi due studi (PEARL I e II) UPA è stato prima confrontato con un placebo e poi sono state confrontate due posologie diverse con il leuprolide acetato (analogo del GnRH). In questi due primi studi la durata della terapia era di soli 3 mesi in quanto il farmaco veniva somministrato prima del trattamento chirurgico per ridurre le dimensioni dei fibromi e agevolare così l’intervento. Nello studio PEARL I13 sono stati confrontati gruppi di pazienti trattate con UPA (5 mg; n=96), UPA (10 mg; n=98) o placebo (n=48); mentre nello studio PEARL II14 sono stati studiati gruppi trattati con UPA (5 mg; n=97), UPA (10 mg; n=104) o leuprolide acetato (n=101). In entrambi gli studi UPA si è dimostrato superiore in efficacia al placebo e non inferiore a leuprolide acetato. Infatti nel 90% dei casi UPA era in grado di controllare il sanguinamento, usando anche la dose più bassa tra quelle sperimentate (5 mg) ed entro 7 giorni dall’inizio della terapia il 75,9% delle pazienti trattate con UPA (5 mg) era in amenorrea,13 la stessa percentuale di pazienti in amenorrea veniva raggiunta con l’analogo del GnRH tra le 3 e le 4 settimane dall’inizio della terapia.14 Inoltre il volume uterino dei 3 fibromi più grandi è stato significativamente ridotto rispetto al basale, nelle pazienti trattate con UPA, in entrambi gli studi PEARL. In un sottogruppo di pazienti non sottoposte a intervento chirurgico è stato valutato l’andamento della malattia dopo l’interruzione della terapia: i dati del follow-up a 6 mesi hanno evidenziato il mantenimento dell’effetto di riduzione dei fibromi ottenuto nei gruppi trattati con UPA, mentre in quello trattato con leuprolide acetato il volume dei fibromi era ritornato quasi ai valori basali nella quasi totalità delle pazienti.14

Dopo i primi due studi (PEARL I e II), si è cercato di verificare l’efficacia e gli effetti del farmaco per 4 cicli intermittenti di 3 mesi ognuno: durante PEARL III le pazienti erano trattate con dosi di 10 mg e, a ogni ciclo, si assisteva a un miglioramento con riduzione sia dei sanguinamenti sia del volume dei fibromi, con pazienti che tolleravano bene la terapia. 15 Nel corso di PEARL IV si è comparata la terapia con dosi da 5 e 10 mg: le pazienti sono state randomizzate e sono sempre state sottoposte a 4 cicli intermittenti. Ancora una volta, a ogni ciclo si assisteva a un miglioramento dei sanguinamenti e delle dimensioni dei tumori.16

I risultati principali raggiunti con gli studi PEARL sono riportati di seguito:
  • il farmaco ha dimostrato la capacità di mantenere l’amenorrea per tutti i 4 cicli di terapia nella maggior parte delle pazienti con la dose di 5 mg, l’amenorrea era in più del 70% delle pazienti trattate in ogni ciclo di terapia. L’amenorrea era raggiunta rapidamente, con tempi medi di 4-6 giorni in entrambi i gruppi per ogni ciclo di trattamento;
  • il farmaco ha dimostrato di controllare il sanguinamento in più del 90% delle pazienti e la ripresa delle mestruazioni (che ritornavano a 4 settimane dalla sospensione della terapia) risultava essere ridotta dopo ogni ciclo di terapia;
  • UPA ha determinato una riduzione clinicamente significativa (≥25%) del volume del fibroma in circa l’80% delle pazienti. La riduzione del volume dei 3 fibromi più grandi risultava essere maggiore dopo ogni ciclo di trattamento, risultando essere ridotta del 67% dopo il IV ciclo e mantenendosi nel periodo di follow-up (3 mesi dalla sospensione della terapia);
  • UPA ha determinato una significativa riduzione del dolore e miglioramento della qualità di vita.

Il trattamento con UPA si è dimostrato ben tollerato e non sono stati rilevati aspetti di sicurezza di particolare rilevanza clinica durante tutti gli studi registrativi PEARL (I, II, III e IV). Il tasso d’interruzione della terapia e la frequenza di eventi avversi non sono stati significativamente diversi nei gruppi con UPA rispetto al gruppo con leuprolide acetato o placebo (PEARL I, II). In più, con l’aumentare dei cicli di trattamento, l’incidenza degli eventi avversi tendeva a ridursi nel tempo, dimostrando la buona tollerabilità del farmaco (PEARL III e IV). Anche i livelli di estradiolo si sono mantenuti per tutta la durata della terapia (18 mesi di terapia intermittente) come in fase medio-follicolare (circa 70 pg/ml) non inducendo sintomi simil-menopausali.
In tutti gli studi PEARL un importante obiettivo è stato quello di osservare l’effetto della somministrazione del farmaco su frequenza e reversibilità delle modificazioni endometriali, definite Progesteron receptor modulator-Associated Endometrial Changes (PAEC). I PAEC sono modificazioni endometriali rappresentate da un epitelio inattivo o debolmente proliferativo, associato a un’asimmetria della crescita epiteliale e stromale risultante in ghiandole di aspetto cistico e rivestite da epitelio appiattito non pseudostratificato. Tali alterazioni sono presenti nelle pazienti trattate con UPA e:
  • la loro incidenza non aumenta con la ripetizione dei cicli di terapia;
  • sono reversibili dopo la fine del trattamento;
  • non devono essere confuse con l’iperplasia endometriale.

Per questo motivo è importante informare l’anatomopatologo dell’avvenuto trattamento con UPA. Nello studio PEARL IV i casi di PAEC dopo il I ciclo di terapia sono inferiori al 10% delle pazienti; questa percentuale tende a ridursi fino ad annullarsi dopo il IV ciclo di terapia. Tutte le biopsie effettuate dimostravano un’istologia benigna.17

Applicazioni cliniche


I trattamenti attualmente disponibili che preservano la fertilità (progestinici, contraccettivi orali, miomectomia) non sono in grado di controllare l’insieme dei sintomi e la progressione della malattia e non hanno una provata efficacia a lungo termine oppure sono associati a sequele e complicanze postoperatorie e a un elevato rischio di recidiva della patologia. I trattamenti che invece offrono una risoluzione a lungo termine sono spesso invasivi e comportano la perdita dell’utero. Il trattamento chirurgico è inoltre gravato da costi considerevoli inerenti a intervento e ospedalizzazione.

UPA è un farmaco già utilizzato in Europa per il trattamento pre-chirurgico dei fibromi e rappresenta a oggi l’unico farmaco disponibile per la terapia medica a lungo termine al fine di:
  • mantenere nel tempo un’elevata efficacia ed un buon profilo di tollerabilità e sicurezza, migliorando la qualità di vita delle pazienti;
  • proporre un approccio non invasivo, preservando la fertilità;
  • offrire una terapia, di facile somministrazione (1 cpr/die per os) che garantisca la compliance anche a lungo termine.

Con lo schema posologico intermittente on-off (5 mg/die per cicli di 3 mesi ciascuno intervallati da due mestruazioni), la terapia con UPA risulta particolarmente appropriata per:
  • pazienti che desiderano un’alternativa alla chirurgia;
  • pazienti giovani che vogliono preservare la fertilità, ma non hanno immediato desiderio di gravidanza. Si possono considerare in questa tipologia donne particolarmente giovani con flussi mestruali molto abbondanti e utero multimiomatoso. La terapia con più cicli di UPA permette, in queste pazienti, un miglioramento della sintomatologia con riduzione del volume dei fibromi e in alcuni casi annullamento della chirurgia;18
  • pazienti con problemi di fertilità correlati alla presenza di fibromi uterini. In queste donne la terapia con uno o due cicli di UPA potrebbe ridurre le dimensioni dei fibromi, rispristinare una cavità uterina normoconformata e favorire così la possibilità di concepimento senza dover ricorrere alla chirurgia.18 Sono stati descritti 18 casi di gravidanze insorte post-terapia con UPA,19 in cui i fibromi non sono aumentati di volume durante la gravidanza e nel periodo di follow-up (circa 6 anni);
  • pazienti prossime alla menopausa. In questa tipologia di donna il trattamento con cicli ripetuti di UPA consente di guadagnare tempo fino all’insorgenza della menopausa spontanea, evitando cosi di ricorrere all’intervento chirurgico. UPA presenta un profilo di sicurezza e tollerabilità particolarmente adatto a questa tipologia di pazienti in quanto non provoca sintomi simil-menopausali (vampate, disturbi psichici) e non ha impatto sulla massa ossea;19
  • pazienti candidate a intervento chirurgico per fibromi uterini. Il pre-trattamento con UPA permette di ristabilire in tempi rapidi i livelli di emoglobina e la riduzione del volume dei fibromi può rendere l’intervento meno invasivo o ridurre gli step chirurgici in caso di interventi per via isteroscopica.

Il trattamento a cicli ripetuti offre alle pazienti un’efficacia maggiore rispetto al ciclo singolo, mantenendo tollerabilità e sicurezza. Ciò consente un rallentamento della progressione della malattia. Grazie al mantenimento dell’efficacia sui sintomi e al favorevole rapporto rischi/ benefici nei cicli ripetuti, questo farmaco rappresenta per le pazienti affette da fibromi uterini un’opzione di trattamento potenzialmente in grado di ritardare o evitare l’intervento chirurgico o perlomeno di renderlo meno invasivo.
Solo pochi soggetti, infatti, sono stati sottoposti a intervento chirurgico dopo trattamento con UPA a cicli ripetuti (5% nello studio PEARL III, 3,5% nello studio PEARL IV). Molte pazienti infatti rifiutano l’intervento chirurgico, specialmente se demolitivo, preferendo un’opzione medica. Evitare un intervento chirurgico assume poi un rilievo particolare nelle donne con problemi di fertilità legata alla presenza di fibromi. Inoltre, grazie al mantenimento dei suoi effetti terapeutici nel tempo, può anche consentire una maggior finestra asintomatica di concepimento sia spontaneo sia medicalmente assistito. Anche in caso di intervento chirurgico il ruolo di UPA potrebbe essere clinicamente rilevante in quanto, riducendo il volume dei fibromi e dell’utero, può consentire un intervento chirurgico meno invasivo, evitando la perdita dell’organo o permettendo il ricorso ad altre vie d’accesso chirurgiche (per es. isteroscopica/laparoscopica) con tempi di degenza ospedaliera e complicanze post-operatorie nettamente inferiori.
Il mantenimento nel tempo della riduzione di volume dei fibromi, e quindi la stabilizzazione delle malattia, consente inoltre una miglior gestione dei tempi di attesa in caso di intervento chirurgico.


A cura di
Ilaria Soave1, Tommaso Occhiali2, Roberto Marci1,3,4

1 Department of Morphology, Surgery and Experimental Medicine, Section of Gynecology and Obstetrics, University of Ferrara, Italy
2 School of Medicine, University of Ferrara, Italy
3 School of Medicine, University of Geneve, Switzerland
4 Department of Obstetrics and Gynecology, University Hospital of Geneva, Switzerland


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