On Medicine

Anno XVI, Numero 3 - settembre 2022

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INTERVISTA

Intervista a Maurizio Bonaita

Redazione On Medicine

Abbiamo il piacere di presentare l’intervista a un cardiologo di grande spessore, il dottor Maurizio Bonaita, che alla pratica clinica in corsia ha affiancato un’altra impegnativa attività: quella di musicista. È infatti presente da lungo tempo in qualità di violoncellista nell’effettivo dell’Orchestra Sinfonica amatoriale di Milano.


Dottor Bonaita, come è riuscito a conciliare gli impegni dell’ospedale con quelli dell’Orchestra?


L’unica difficoltà, peraltro resa superabile dalla cortesia dei miei colleghi, è consistita nell’avere libere da guardie in reparto o in pronto soccorso le date coincidenti con le prove settimanali dell’orchestra o dei concerti, dando a volte la mia disponibilità a coprire, in cambio, turni poco graditi (solitamente, festivi e prefestivi). È stato decisamente più difficile riuscire a ritagliare giornalmente il tempo necessario allo studio e all’esercizio che sempre richiede la pratica di uno strumento musicale; devo dire che quasi sempre sono riuscito a dedicare almeno un’ora a questa passione.


Ha mai rimpianto di non avere intrapreso la carriera di musicista professionista?


La professione del medico è, quando scelta per passione, altamente gratificante. Tuttavia, pur essendo la medicina una scienza poco esatta, non lascia grande spazio alla creatività. La stessa “intuizione” alla base di brillanti diagnosi non è nient’altro che il risultato di un ripescaggio, di cui spesso non si ha piena coscienza, della scheda che fa al caso nostro grazie a nozioni e dati che sono stati immagazzinati nel nostro cervello con anni di studio anche mnemonico, e di esperienze pregresse. Suonare uno strumento, che pure comporta studio continuo, soddisfa la quota di emotività, di creatività, di artisticità che è presente in ciascuno di noi. Tuttavia, quando questa passione si fosse tramutata in una professione vera e propria avrebbe portato inevitabilmente con sé una fisiologica percentuale di frustrazioni, insuccessi, insoddisfazioni comuni a qualsiasi attività umana, anche la più amata.
Tutto sommato, sono contento di aver stemperato la rigidità della professione medica con un impegno amatoriale musicale, senza invertire le scelte. Inoltre, ritengo che suonare in un’orchestra sia la palestra più efficace per allenarsi a un’attività di équipe come è quella del medico ospedaliero: al possesso di necessarie capacità tecniche è fondamentale, per la buona riuscita, associare l’ascolto costante degli altri (le sezioni dei violini, degli ottoni, dei legni, dei bassi, delle viole ecc.) per poter raccogliere il loro suono e armonizzare la qualità del proprio e completare nel modo migliore la frase musicale.


Reputa più stressante affrontare un caso clinico complesso o una prima?


Sicuramente un caso clinico complesso, non fosse altro che per la posta in gioco che è la salute e, a volte, la sopravvivenza del malato. Una cattiva esecuzione musicale lascia sicuramente un grosso dispiacere, ma tutto finisce lì. A proposito di stress, affermo spesso che per me il tempo in cui sono seduto di fronte al leggio costituisce il miglior ansiolitico esistente. Senza contare che, come molti studi di neurofisiologia hanno dimostrato, suonare un qualsiasi strumento musicale ritarda e contrasta l’insorgenza di decadimento cognitivo.


Auscultando i suoi pazienti ha mai trovato delle affinità ritmiche con brani musicali?


Un’affermazione del genere forse risulta un poco eccessiva, ma è indubbio che, soprattutto nel campo della semeiologia cardiologica, possedere un senso del ritmo e un orecchio musicale consente una maggior facilità di diagnosi nel campo delle aritmie (è possibile spesso, sulla base della sola auscultazione e valutando la presenza o meno della pausa compensatoria, ipotizzare la qualità delle extrasistolie), così come il timbro dei soffi cardiaci orienta verso il tipo di valvulopatia cui ci troviamo di fronte.


È noto che alcuni chirurghi operano solo a suon di musica: sarebbe utile offrire la stessa possibilità in corsia?


Compatibilmente, certo, con la gravità delle condizioni del paziente, o semplicemente delle sue preferenze, ritengo che un sottofondo musicale a volume adeguato gioverebbe al rilassamento dei pazienti e di tutti gli operatori sanitari che lavorano in corsia.


Secondo lei, l’ascolto della musica potrebbe migliorare il follow up del paziente cardiologico?


La musicoterapia è ormai accertato e accettato che costituisca una modalità di intervento, tramite la musica come strumento di comunicazione non verbale, per intervenire a livello riabilitativo o terapeutico. Il ricorso a tale pratica affonda le sue radici sino ai tempi antichi, in cui già era riconosciuta intuitivamente la capacità di rilassamento e di stimolo, per tacere della funzione fondamentale consolatoria della musica. Da tempo alcune strutture cardiologiche hanno introdotto la figura dello psicologo che affianca i pazienti già nella fase post acuta, ben sapendo quale peso abbia il combattere lo stress e l’ansia nell’ambito di una visone olistica della cardiopatia.