On Medicine

Anno XIX, Numero 4 - dicembre 2025

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IL PARERE DELLO SPECIALISTA

Le neuracusie: acufeni, fonofobia, misofonia e iperacusia, una guida pratica al trattamento

A.R. De Caria, M. Monici

Introduzione

I disturbi uditivi soggettivi come acufeni, iperacusia, fonofobia e misofonia rappresentano condizioni cliniche complesse, caratterizzate da un'elaborazione anomala di stimoli sonori reali o avvertiti solo dal paziente; in alcuni casi, in assenza di una corrispondente alterazione organica oggettivabile. Queste manifestazioni, che in numerose persone possono presentarsi in associazione, pur differenti per fenomenologia clinica e risposta emotiva, condividono meccanismi neurofisiologici convergenti: la dissociazione tra input acustico reale e risposta percettivo-affettiva, spesso mediata da processi di plasticità mal adattativa a carico del sistema nervoso centrale.

Questo articolo si propone di offrire una guida pratica e aggiornata al trattamento di questi sintomi, che abbiamo voluto unificare con il termine generale di neuracusie, esplorandone le caratteristiche cliniche, i modelli neuropsicologici sottostanti e gli interventi terapeutici più supportati dalla letteratura, con un'attenzione particolare alla personalizzazione dell'approccio in base al profilo del paziente.

Con il nuovo termine neuracusia o neuracusie (neologismo dal greco νεῦρον - in generale sistema nervoso e ἀκοή - udito) vogliamo, pertanto, intendere tutti questi disturbi soggettivi dell'elaborazione uditiva caratterizzati da una alterazione della percezione o tolleranza ai suoni, in cui coesistono componenti periferiche (a carico del sistema uditivo) e centrali (alterazioni della modulazione sensoriale coinvolgenti i circuiti corticali ed emozionali).

Le neuracusie, quindi, non si configurano semplicemente come disordini uditivi, ma come manifestazioni piò complesse che coinvolgono l'integrazione tra sistemi sensoriali, cognitivi ed emotivi e richiedono, pertanto, un approccio integrato che coinvolga l'audiologia, la neurologia, la psichiatria e le neuroscienze cognitive in modo da fornire una terapia veramente personalizzata ed efficace.

Sintomi e neurofisiologia delle neuracusie

Acufene: è definito come una sensazione sonora (fischio, fruscio, sibilo ecc.), avvertito in uno o entrambe le orecchie o, genericamente, all'interno della testa e generato da strutture anatomiche (uditive o meno) proprie del paziente (Fig. 1).



Figura 1. Modello neurofisiologico dell'acufene (mod. da Mazurek B, H. Haider H et al. 2019)


È un sintomo estremamente comune: interessa circa il 10-15% della popolazione generale, con una quota più elevata tra i pazienti con ipoacusia neurosensoriale. Dal punto di vista fisiopatologico, oggi sappiamo che l'acufene è legato a una rimodulazione maladattiva delle vie uditive centrali. La perdita di input periferico, anche minima, induce un aumento del guadagno neurale e una riorganizzazione corticale, con iperattività spontanea delle aree uditive. Questo segnale anomalo, una volta generato, viene "etichettato" come significativo dal sistema limbico, diventando quindi emotivamente rilevante.
Ed è proprio l'interazione tra rete uditiva e rete limbica a determinare la percezione disturbante dell'acufene e i sintomi associati come ansia, insonnia e difficoltà di concentrazione.

Iperacusia: è una condizione caratterizzata da una ridotta tolleranza ai suoni di intensità normale, percepiti come eccessivamente forti, fastidiosi o persino dolorosi. Il meccanismo fisiopatologico principale sembra essere un'aumentata amplificazione centrale del segnale acustico, una sorta di "guadagno neurale" eccessivo a livello del collicolo inferiore e della corteccia uditiva. Possiamo distinguerne diverse forme:
  • loudness hyperacusis, in cui il suono è semplicemente percepito come troppo intenso;
  • pain hyperacusis, in cui il suono provoca dolore fisico;
  • annoyance hyperacusis, in cui prevale il fastidio o l'irritazione.
È interessante notare come iperacusia e acufene siano spesso coinvolti insieme, quasi due manifestazioni di una stessa disfunzione del sistema uditivo centrale (Fig. 2).



Figura 2. Meccanismi dell'iperacusia (mod. da Jastreboff PJ, Jastreboff MM 2023)


Molti pazienti riferiscono, infatti, un peggioramento dell'acufene in ambienti rumorosi o dopo l'esposizione a suoni forti.

Fonofobia: spesso confusa con l'iperacusia, ne differisce in modo sostanziale. La fonofobia è una paura marcata e persistente nei confronti dei suoni, che può essere scatenata sia da suoni forti reali, sia dalla sola anticipazione dell'esposizione. La risposta è tipicamente di tipo fobico, con attivazione del sistema limbico e del sistema nervoso autonomo con conseguente tachicardia, sudorazione, evitamento. In questo caso, il problema non è tanto la percezione sensoriale del suono, quanto l'interpretazione emotiva e l'ansia anticipatoria che il paziente associa all'esperienza acustica. La fonofobia si colloca quindi piò vicina ai disturbi d'ansia che alle disfunzioni uditive in senso stretto, e richiede un approccio psicologico mirato.

Misofonia: rappresenta un'entità distinta, definita come una reazione emotiva intensa e immediata a suoni specifici - di solito suoni prodotti da altre persone, come masticare, respirare, digitare o ticchettare.
Il punto cruciale è che non è l'intensità del suono a generare disagio, ma il suo significato personale o sociale (Fig. 3).



Figura 3. Ipotetica risposta misofonica (mod. da Dozier T, 2015).


I pazienti riportano sentimenti di irritazione, rabbia, disgusto o panico, spesso accompagnati dal desiderio di fuggire o reagire anche con fenomeni di aggressività nei confronti degli altri o di sé stessi. Gli studi di neuroimaging mostrano un'iperattivazione dell'insula anteriore e della corteccia orbitofrontale, regioni coinvolte nell'elaborazione delle emozioni e nella salienza degli stimoli. Queste aree sembrano comunicare in modo anomalo con le strutture uditive, determinando una risposta emotiva sproporzionata e automatica. La misofonia compare spesso in età giovanile, può coesistere con disturbi d'ansia o ossessivo-compulsivi e ha un impatto notevole sulla vita sociale e familiare del paziente.

Diagnosi differenziale

Come vediamo, il filo conduttore tra i diversi sintomi è sempre l'interazione tra percezione acustica e risposta emotiva. Ciò che cambia è il livello a cui si colloca la disfunzione: sensoriale: limbico o cognitivo (Fig. 4).



Figura 4. Differenza tra le neuracusie (A. De Caria, M. Monici, 2025. Relazione presentata al 40° Congresso Nazionale della Società Italiana di Audiologia e Foniatria. Bari, 12-15 novembre 2025)


Per tale motivo la diagnosi differenziale è cruciale, perché l'approccio terapeutico deve essere calibrato su quale componente - uditiva o emotiva - prevale nel singolo caso.

Trattamento: modello neuro-psico-uditivo integrato


Dopo attenta valutazione clinica al fine di escludere qualunque causa scatenante trattabile con approccio farmacologico e/o chirurgico, il trattamento delle neuracusie, richiede un modello neuro-psico-uditivo integrato, comprendente valutazione audiologica, riabilitazione sonora, interventi psicoterapeutici mirati alla modulazione emozionale.

Le neuracusie rappresentano un insieme di disturbi di estrema complessità neuropercettiva che possono compromettere significativamente la qualità della vita, interferendo con il benessere psicofisico, le relazioni sociali e il lavoro. Comprendere la natura multifattoriale di questi disturbi - sia dal punto di vista audiologico, sia con l'ausilio di questionari - è fondamentale per impostare un percorso terapeutico efficace.

In assenza di una terapia farmacologica universalmente accettata e in relazione alla complessità dei sintomi, il percorso riabilitativo del paziente - con disturbo singolo o multiplo - non può prescindere da un approccio altamente personalizzato e, spesso, multispecialistico che tenga conto delle caratteristiche del sintomo, della sua intensità, della sua durata, ma soprattutto della risposta emotiva e cognitiva che il soggetto ha nei confronti del disturbo.

Alla base di questo approccio si colloca il counselling audiologico, considerato il primo passo fondamentale. Il counselling ha lo scopo di fornire al paziente una corretta informazione sul funzionamento del sistema uditivo, sulla natura del disturbo e sulle aspettative realistiche della terapia. Questo processo educativo riduce l'ansia legata all'ignoto, migliora l'aderenza al trattamento e favorisce l'habituation al sintomo. Il counselling non si deve esaurire in un unico colloquio, ma deve accompagnare il paziente lungo tutto il percorso terapeutico.

Altro pilastro della terapia è rappresentato dalla sound therapy che deve tenere necessariamente conto della presenza o meno di ipoacusia. Nel caso di normoacusia, l'esposizione graduale e controllata a stimoli sonori strutturati permette di mascherare parzialmente l'acufene o i suoni disturbanti, ma soprattutto di riprogrammare la risposta cerebrale anomala tramite meccanismi di neuroplasticità. L'impiego di dispositivi dedicati, app personalizzate o semplici suoni ambientali (come quelli naturali) viene calibrato sulla base delle caratteristiche audiologiche del paziente. La personalizzazione del protocollo sonoro (auditory brain training) è ciò che differenzia l'approccio moderno da quello tradizionale, che prevedeva strategie generiche e poco efficaci.

Accanto alla terapia sonora hanno assunto un ruolo sempre piò rilevante le tecniche di rilassamento e l'ipnosi clinica, strumenti particolarmente utili nei pazienti con elevata attivazione ansiosa, insonnia o ipervigilanza uditiva. Tecniche come la mindfulness, la distensione immaginativa, il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, il biofeedback, l'EMDR e le ristrutturazioni ipnotiche possono modulare l'attività del sistema nervoso autonomo, ridurre la reattività emotiva ai suoni disturbanti e favorire una condizione di maggiore controllo e resilienza psicofisica.

Un altro elemento essenziale del trattamento, soprattutto nei casi in cui siano presenti disturbi dell'umore, ansia generalizzata, pensieri ossessivi legati ai suoni o condotte evitanti, è la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). La CBT si è dimostrata efficace nel modificare le distorsioni cognitive associate al disturbo (es. "non smetterà mai", "non riuscirò a convivere con questo suono") e nel lavorare sulla desensibilizzazione emotiva e sulla gestione delle reazioni automatiche di paura, rabbia o frustrazione. Attraverso strategie cognitive e comportamentali mirate, il paziente impara a ridurre il controllo ossessivo sul sintomo e a migliorare l'adattamento funzionale alla quotidianità.

In sintesi, nel trattamento delle neuracusie, data la complessità clinica e l'interconnessione tra aspetti uditivi e psicologici, in molti casi si rende necessario un approccio integrato multispecialistico. La collaborazione tra otorinolaringoiatra, audiologo, psicologo clinico e, in alcune situazioni, psichiatra (in presenza di comorbidità psichiatriche o se è indicato un supporto farmacologico) garantisce una presa in carico globale e coerente, evitando frammentazioni terapeutiche.

La "presa in carico" del paziente con neuracusie, deve orientare pazienti e operatori sanitari nella scelta delle strategie terapeutiche adeguate, nel rispetto della centralità della persona, dei suoi vissuti, delle sue aspettative e dei suoi bisogni. L'obiettivo non è solo la riduzione della percezione uditiva disturbante, ma il recupero di una qualità della vita soddisfacente e autonoma, attraverso un processo di cura che valorizza la personalizzazione, l'educazione, il supporto emotivo e l'empowerment.


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Antonio R. De Caria1, Matilde Monici2
1Centro Medico Auris - Mantova
2Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria, Ospedale "Carlo Poma" - Mantova